Leggendo..."KAFKA SULLA SPIAGGIA" di MURAKAMI HARUKI.

26.12.2018

Mi sono affrettata a scrivere di "Kafka sulla spiaggia", perché ho rischiato, come come in un sogno che al risveglio ne svanisse il ricordo. Questo libro un po' mi somiglia, infatti come in Kafka sulla spiaggia, la dimensione onirica nella mia vita spesso si è sovrapposta, confusa ed integrata a quella reale. Ricordo chiaramente come sin da piccola mi capitava di non distinguere il sogno dalla realtà, fino al punto di chiedermi cosa appartenesse al primo e cosa alla seconda; questo strano "accavallamento" di dimensioni mi ha comportato non pochi problemi, tra enuresi notturna e continui dejavu, risolti con un escamotage di tipo esclusivamente pratico: tracciavo una linea ideale, per oltrepassare la quale, dopo aver riempivo i polmoni di aria e trattenuto il fiato, toccavo tutto quello che mi stava attorno, cercando di capire esattamente se stessi dormendo o no, se nel sogno provava ad entrare la realtà, o viceversa, la porta si chiudeva, tutto terminava ed io capivo. I sogni mi hanno adottata per certi versi, mi hanno dato ricordi che mi mancavano, pezzi di vita sottratti nell'infanzia, mi hanno dato una condizione familiare che mi era stata sottratta, mi hanno regalato fette di vita dal sapore malinconico ma che, mio malgrado, hanno nutrito e soddisfatto la mia fame di normalità familiare.

Bene, dovrei tornare a Kafka sulla spiaggia, ma è davvero difficile, questo libro mi è appartenuto così tanto che non riesco a non parlare di me.

Ho cercato nel web recensioni e ne ho trovate tante anche parecchio diverse fra loro, ma cosa ho capito io di questo libro? Cosa mi è rimasto? Cosa è diventato bagaglio personale?

C'è l'imbarazzo della scelta, ma certamente non dimenticherò come l'ingenuità di un innocente anziano può essere anche più saggia della consapevole maturità di un giovane ragazzo.

E' un libro che va capito nel complesso, nella sua interezza, scorre infinitesimamente in modo quasi parallelo raccontando due storie, ovviamente legate fra loro, e che alla fine si raggiungono quasi sfumando l'una sull'altra, questa è secondo me la grande capacità di Murakami. Il sogno si confonde con la realtà e l'azione dell'uno si ripercuote sull'altro.

Chi è Kafka sulla spiaggia? Chi è quel ragazzo nel quadro che stiamo osservando? Possiamo essere veramente sicuri di non essere addirittura noi? In fondo tutto ciò che vediamo è frutto dei nostri occhi e di come percepiamo la realtà. C'è un momento in cui il vecchio Nakata contempla un paesaggio marino e si incanta, i suoi occhi si riempiono di stupore, il lettore viene trascinato in un meraviglioso e profumato mondo marino, salvo poi capire che il paesaggio mozzafiato altro non era che uno "squallido molo e un'acqua opaca su cui galleggiavano chiazze di petrolio". Tutto talmente relativo da diventare quasi evanescente!

Ritorna spesso l'idea di relatività del tempo/spazio che passa, ad esempio quando Oshima (l'accompagnatore del giovane Tamura) ci racconta l'origine del labirinto, egli spiega come gli abitanti dell'antica Mesopotamia estraevano le interiora degli animali ed, in base alle loro forme, predivano il futuro. "Avevano un'alta considerazione delle forme tortuose degli intestini che gli stessi ispirarono loro il labirinto, quindi l'origine del labirinto è dentro di te". Ciò che vediamo fuori è già dentro di noi, ciò che percepiamo è frutto della nostra sensibilità, per cui in un certo modo la realtà che ci circonda è "poco" reale nella misura in cui i nostri occhi, le nostre interiora, interpretano l'ambiente e le circostanze in maniera speculare. Oshima aggiunge "perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un'esperienza pericolosa".

In genere mi affeziono ad un personaggio piuttosto che ad un altro, invece in questo caso devo ammettere che non è andata così. Kafka sulla spiaggia è l'apoteosi delle diversità che si completano, ma non perché gli opposti si attraggono, semmai perché i diversi, essendo vicendevolmente utili, si arricchiscono.

Ci sono poi Hoshima, "l'accompagnatore" dell'anziano giovane, e Hoshino "l'accompagnatore" del giovane maturo, il primo colto, istruito, amante della letteratura, antica e moderna, il secondo ignorante, rozzo, scapestrato...eppure le due coppie al cominciano insieme il percorso, diventano, nella loro diversità, l'uno complementare ed utile all'altro, infine le due coppie scoppiando, restano incredibilmente complementari, Hoshino ed Hoshima si conoscono e nasce qualcosa di simile, a parer mio, all'amore, Hoshima spinto dalla curiosità del sapere, Hoshino spinto dal bisogno di spiegare sé stesso tramite la conoscenza.

Anche i continui riferimenti ad Edipo ed Aristofane conducono il lettore alla comprensione ed alla conoscenza di sé, ognuno a modo proprio.

Di Edipo è intriso tutto il libro, è quasi un rivisitazione in chiave ulteriormente fantastica del complesso tanto famoso, la trama è un percorso di crescita, si assiste, infatti, alla maturazione del bambino che si fa adulto, crescendo e scegliendo fra il corvo che dentro di lui, nel suo labirinto interiore, voleva condizionarlo e la propria coscienza costretta, invece, in una strada impervia di un fitto bosco da attraversare ma che alla fine trova la luce.

Il mentore Oshima, inoltre, racconta che Aristofane, nel Simposio di Platone, divideva gli abitanti del mondo in tre esseri: gli uomini-uomini, gli uomini-donna e le donne-donne "tutti vivevano soddisfatti, senza nessun problema. Poi un giorno Dio prese la spada e tagliò ognuno di loro in due parti. Due metà precise. Il risultato fu che il mondo divenne popolato solo da uomini e donne, e tutti presero a vivere correndo da una parte all'altra nella ricerca continua della propria metà perduta, che doveva tuttora esistere da qualche parte". Oshima è un transgender (uomo/donna del quale gli Dei hanno avuto pietà) e la sua storia si sposa perfettamente con il filo conduttore dei diversi che si cercano forse non tanto per completarsi ma per crescere ed arricchirsi reciprocamente.

Ho apprezzato molto anche la figura della sig.ra Saeki che conferma a mio avviso l'idea leggera ed eterea tipica delle donne di Murakami. Il suo rapporto con i ricordi è a dir poco commovente, vive di ricordi e ad essi non riesce a rinunciare finché la morte non sopraggiunge, ma la morte non è l'assenza di vita, la morte è l'assenza di ricordi, e lei rinuncia ai propri, perché le sono diventati inutili, ma chiedendo di rimanere in quelli di Tamura (il giovane protagonista).

Infine Tamura cresce, diventa uomo, si ferma, non fugge più "il tempo grava su di te con il suo peso, come un antico sogno dai tanti significati. Tu continui a spostarti, tentando di venire fuori. Forse non ce la farai, a fuggire dal tempo, nemmeno arrivando ai confini del mondo. Ma anche se il tuo sforzo è destinato a fallire, devi spingerti fin laggiù. Perché ci sono cose che non si possono fare senza arrivare ai confini del mondo".

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